Responsabilità dei politici cattolici Nel 60° anniversario della Carta Costituzionale che, specialmente nella sua prima parte, è così antropologicamente significativa – e dunque vera nel senso di non superata – e in un momento della vita sociale così delicato e con varie sfide aperte, non possiamo come vescovi non rivolgerci all’intera classe politica per esprimerle la nostra considerazione e il nostro incoraggiamento।Nessuno si stupisca se in questo quadro diciamo una parola ai politici di ispirazione cristiana, a coloro che tali sono e così si sono presentati al corpo elettorale, al quale devono rispondere। Vogliamo ricordare la parola rivolta da Benedetto XVI all’Internazionale Democratica di Centro e Democratico-cristiana, il 21 settembre 2007। «La dottrina sociale della Chiesa offre, al riguardo, elementi di riflessione per promuovere la sicurezza e la giustizia, sia a livello nazionale che internazionale, a partire dalla ragione, dal diritto naturale ed anche dal Vangelo, a partire cioè da quanto è conforme alla natura di ogni essere umano e la trascende»।Ebbene, si trova qui il motivo per cui, sui temi moralmente più impegnativi, assecondare nelle decisioni una logica meramente politica, ossequiente cioè le strategie o le convenienze dei singoli partiti, è chiaramente inadeguato. Lo è per una coscienza schiettamente morale, ma lo è ad un tempo per una coscienza anche religiosamente motivata. È vero che il Magistero cattolico prevede il voto positivo a provvedimenti, anche su materie critiche, volti «a limitare i danni di una legge e a diminuirne gli effetti negativi sul piano della cultura e della moralità pubblica» (Giovanni Paolo II, Evangelium vitae, n. 73), ma questo non è il caso invocabile allorché un provvedimento legislativo è ancora tutto da allestire o viene presentato al Parlamento. In un simile contesto, quando cioè si tratta di avviare proposte legislative che vanno in senso contrario all’antropologia razionale cristiana, i cattolici non possono in coscienza concorrervi. Non c’è chi non veda infatti che una cosa è operare perché un male si riduca, altra cosa è acconsentire, in partenza, che leggi intrinsecamente inique vengano iscritte in un ordinamento. E non si tratta, qui, di un’imposizione esterna, ma di una scelta da operare liberamente in una coscienza «già convenientemente formata» ( GS n. 43). Rispetto alla quale non possono esistere vincoli esterni di mandato, in quanto la coscienza è ambito interno, anzi intrinseco, alla persona, e dunque obiettivamente non sindacabile. Il voto di coscienza, in realtà, è una risorsa a esclusivo servizio della politica buona, e dunque – all’occorrenza – può e deve diventare una scelta trasversale rispetto agli schieramenti, e invocabile in ogni legislatura.Nessuno pensi che dietro a queste parole ci sia un disegno egemonico che si vuol perseguire. Vale infatti quello che il nostro Papa diceva nella occasione sopra ricordata: «La Chiesa sa che non è suo compito far essa stessa valere politicamente questa sua dottrina: del resto suo obiettivo è servire la formazione della coscienza nella politica e contribuire affinché cresca la percezione delle vere esigenze della giustizia e, insieme, la disponibilità ad agire in base ad esse, anche quando ciò contrastasse con situazioni di interesse personale » ( ib.). Ed è esattamente questo, non altro, ciò che preme alla nostra Conferenza. Ci auguriamo intensamente che, mettendo sempre meglio a fuoco i compiti propri a ciascuno, possa crescere nel nostro Paese una interpretazione più ricca e sempre meno unidirezionale della laicità. Segnali nuovi peraltro, anche solo in Europa, non mancano. Possiamo aspettarci un rapido contagio delle idee nuove che stanno emergendo alla luce anche di condizioni ideali e culturali sempre più problematiche. Studiosi di fama internazionale hanno nei mesi scorsi ripetuto che c’è un posto, nella democrazia, per le religioni, come crogiuolo di senso e di felice appartenenza ad una storia e ad una tradizione. Il che dà identità e serena sicurezza. Non c’è scritto da nessuna parte che un vivace pluralismo culturale debba coincidere con un secolarismo aggressivo e intollerante, come è accaduto nei giorni scorsi.Dire, come pure qualcuno ha detto, che la Chiesa cattolica ha un’irresistibile vocazione al fondamentalismo significa fare della gratuita polemica, senza la disponibilità a mettere sul tavolo argomenti costruttivi e utili ad un confronto magari vivace, ma non caricaturale.
Pace a colui che ha scritto e a chi legge.
Pace a coloro che amano il Signore in semplicità di cuore.
Pace a coloro che amano il Signore in semplicità di cuore.
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