sabato 26 gennaio 2008

NON E' PIU' IL CRISTIANESIMO A ORGANIZZARE LA SOCIETA' SONO I CRISTIANI A ORGANIZZARSI IN SOCIETA'




intervista
«Viviamo un’epoca di grande disagio rispetto al futuro delle società europee. Ma è una 'crisi di crescita' dove c’è spazio per un nuovo 'civismo cristiano'». Parla il filosofo Marcel Gauchet La democrazia? Va riformata
«Oltre la civiltà parrocchiale e un cristianesimo 'sociologico' capace di organizzare la vita collettiva, si afferma una nuova epoca di innovazione religiosa, più legata all’adesione personale della gente, che potremmo chiamare un cristianesimo del 'nuovo mondo'»
DI ÉLODIE MAUROT
H a appena pubblicato in Francia i primi due tomi di un’ampia genealogia della democrazia: L’avènement de la dé­mocratie
(Gallimard). Marcel Gau­chet, storico e filosofo, nonché di­rettore di studi all’École des hautes études en sciences sociales, analiz­za l’affermarsi della democrazia in un vasto affresco che è, al tempo stesso, una storia filosofica e una teoria della democrazia.
Professor Gauchet, la storia è di­ventata l’unico mezzo per capire dove ci troviamo?
«Il mio progetto è, in parte, pole­mico. Intende smentire decisa­mente quella che mi appare l’illu­sione della nostra società: credere che il presente possa bastare a se stesso, come se la realizzazione del­la democrazia nella sua forma at­tuale fornisse una specie di chiave universale. Questa grande illusione presentista ci porta completamen­te fuori strada, poiché non esiste e­ternità democratica. Era dunque necessario ricostruire il movimen­to della democrazia e cercare di co­gliere, attraverso quel percorso sto­rico, l’enigma e la grande angoscia del divenire delle società europee».
Lei conclude che la democrazia è un 'regime misto' che unisce tre dimensioni: politica, giuridica e storica. Com’è arrivato a questa triade?
«Volevo riuscire a formulare un concetto di democrazia più soddi­sfacente. Sono arrivato alla se­guente definizione: la democrazia è la traduzione in forma politica dell’autonomia. Dietro c’è l’idea che la democrazia sia un fenome­no globale, un modo d’essere del­l’umanità che va ben oltre un siste­ma di regole istituzionali. Ci sono voluti cinque secoli perché tale ma­terializzazione dell’autonomia si at­tuasse. Si è avvalsa di tre vettori, successivamente: la politica, il di­ritto, la storia. La politica, con l’e­mergere di un nuovo tipo di potere che emana 'dal basso'. Il diritto, con l’invenzione di un nuovo tipo di legame tra gli individui sotto for­ma di diritti dell’uomo. La storia, con il capovolgimento dell’orga­nizzazione temporale delle nostre società, un tempo orientate al pas­sato ma ormai proiettate nel futu­ro. La storia della modernità è la sto­ria del successivo dispiegamento e della progressiva coniugazione di questi tre vettori dell’autonomia».
Per definire la nostra situazione at­tuale lei parla di 'crisi di crescita' della democrazia. Quali sono i sin­tomi?
«Sono convinto, a torto o a ragione, che negli anni ’70 ci sia stata una svolta nel corso della storia occi­dentale che ci ha fatti letteralmen­te entrare in un nuovo mondo. Al­l’indomani della Seconda guerra mondiale, le società democratiche liberali hanno trovato la ricetta di una nuova forma di unità delle co­munità umane: unità nella libertà, al contrario dei totalitarismi. All’in­terno di questo quadro strutturato, organizzato, reso sicuro, a partire dagli anni ’70 la libertà ha cono­sciuto uno slancio senza prece­denti. Il successo politico delle de­mocrazie crea le condizioni per l’e­stensione delle libertà individuali, per l’emancipazione delle società civili e per un funzionamento au­tomatico dell’economia che non ha uguali da quando è si è affermato il capitalismo industriale. Tuttavia, parallelamente, la democrazia co­nosce una seria crisi d’identità, poi­ché ci troviamo in un mondo che, con il suo stesso funzionamento, e- sclude la possibilità di go­vernarsi. È il grande pro­blema delle nostre demo­crazie: siamo diventati in­comparabilmente liberi, ma non abbiamo l’uso di ta­le libertà».
Questo periodo si caratte­rizza anche come tappa supplementare, forse defi­nitiva, lei sostiene, nell’u­scita dalla religione…
«Questo periodo finisce di dissolvere tutto ciò che era residuo della strutturazione reli­giosa, della tradizione, della gerar­chia, sia nei partiti politici sia nella vita familiare… Dal punto di vista religioso, è contraddistinto dalla scomparsa della civiltà parrocchia­le e del cristianesimo sociologico, un cristianesimo poco abitato dal­la fede ma che era potente orga­nizzatore della vita collettiva. Ma siamo anche in un momento di in­venzione religiosa. Sta per nascere un nuovo cristianesimo basato sul­la fede degli individui. È un cristia­nesimo del 'nuovo mondo': non è più un cristianesimo sociologico, ma si fonda sull’adesione persona­le. Non è più il cristianesimo a or­ganizzare la società, sono i cristia­ni a organizzarsi in società attra­verso l’adesione volontaria. Questo cambia tutto»!
In questa nuova età della demo­crazia, il cristianesimo può con­servare un ruolo politico?
«Siamo ancora in un momento di transizione, specialmente in Fran­cia dove il cattolicesimo ha riven­dicato a lungo una specie di posi­zione privilegiata nella definizione dell’ordine collettivo. Ma a partire dal momento in cui i cristiani sono 'nella democrazia', e non hanno più la pretesa dell’ultima parola sull’ordine della vita collettiva, si apre una strada importante nella manifestazione dei valori e delle opzio­ni che sembrano lo­ro buone per la vita nella città. Non so­lo la religione non è destinata a scom­parire in quanto fede, sistema di pensiero, ordine di senso, ma trova in questo scenario una grande le­gittimità, persino agli occhi di quanti non credono. È un fatto di cui l’istituzione non si è ancora re­sa conto».
In quale forma può avvenire la par­tecipazione politica?
«L’articolazione dei cristiani in po­litica inciampa in una grande dif­ficoltà. Per superarla i cristiani de­vono fare una scelta cruciale. Se si limitano alla testimonianza in no­me di valori superiori – peraltro condivisi con molti altri che non sono cristiani – la loro voce rischia di dissolversi in un discorso ben­pensante, gradito ma privo di spe­cificità. La vera posta in gioco è l’invenzione di un civismo cristia­no, che non è mai davvero esistito nel cattolicesimo in Occidente. È troppo facile invocare i valori di­cendo ai governanti: 'Sbrigateve­la voi, noi ci accontentiamo di pro­testare!'. Per la prima volta i cri­stiani si trovano veramente nella posizione di esercitare la respon­sabilità politica».
Per il suo rapporto con la storia e con la persona umana, il cristia­nesimo non è forse particolar­mente adatto a vivere questa nuo­va età della democrazia?
«Sottoscrivo in pieno tale afferma­zione, non da teologo bensì da sto­rico. Credo che esista un’affinità particolare tra il cristianesimo e il processo che stiamo vivendo. Mi sembra che diventino sempre più e­videnti le relazioni tra il cristianesi­mo e il mondo moderno».
(per gentile concessione del quotidiano «La Croix»; traduzione di Anna Maria Brogi)
Aumentano i diritti umani, ma non si insegna ad usarli
DI CARLO CARDIA
La prospettiva del pensatore francese coglie un dato essenziale: siamo tutti più liberi, ma anche più soli. E poco educati a esercitare una responsabilità civile
di notevole interesse, e abbastanza fuori del comune, che Marcel Gauchet veda negli anni ’70 del secolo scorso il luogo della maturità della democrazia in Occidente. La malattia del totalitarismo ha paradossalmente fatto rigenerare il concetto e gli strumenti della democrazia facendo superare i limiti del liberalismo. La democrazia aperta è diventata in Occidente una realtà irreversibile ed ha acquisito un valore universale che deve essere ancora essere percepito appieno.
Sopra gli altri, due elementi sembrano garantire la irreversibilità della democrazia. Il funzionamento automatico dell’economia che emancipa dalle guerre e dalle lotte conosciute nel capitalismo industriale, e l’estensione dei diritti umani che finiscono per coinvolgere e interessare la società civile nel suo complesso. I diritti umani, dice Gauchet, creano una nuova forma di unità delle comunità umane, rovesciano il ruolo della politica, garantiscono a tutte le forze sociali l’accesso al governo della società. Se la democrazia sembra irreversibile, non per ciò può essere considerata eterna. Una crisi è sempre possibile, ed è la crisi di chi è diventato incomparabilmente più libero, rispetto al passato, ma non riesce a far uso di questa libertà. Si intravede, in questa analisi, il ruolo che può essere giocato da una libertà totale e insieme atomistica, che manchi della finalità costruttiva, che isoli la persona umana e la dichiari responsabile del proprio destino senza alcun punto di riferimento. Su questa crisi si innestano le possibilità, e le capacità, di partecipazione delle grandi forze sociali come quelle religiose. La religione e la fede ritrovano un ruolo che alcuni vorrebbero negare soprattutto a livello pubblico. È il ruolo di chi riesce a parlare a uomini liberi che cercano il senso della vita, gli strumenti per fare scelte durature, per appagare bisogni spirituali che aumentano con il crescere della consapevolezza della condizione umana.
Su questo punto Marcel Gauchet fa una osservazione apparentemente sorprendente quando dice che ai cristiani non deve più bastare la testimonianza di valori superiori, e che è necessaria «l’invenzione di un civismo cristiano», perché per la prima volta i cristiani si trovano veramente nella posizione di poter esercitare la responsabilità politica. Essi devono sapere, inoltre, che in una rinnovata presenza nella politica e nella democrazia, troveranno «alleati del tutto inaspettati».
In parte l’analisi di Gauchet riflette quanto sta già avvenendo, ma in parte è essenzialmente prospettica. La democrazia delle procedure rende più liberi, ma più soli, ha tante potenzialità ma non ha un’anima, aumenta i diritti umani ma non prepara gli uomini ad usarli. Si va avanti negli strumenti politici, ma si torna indietro rispetto all’evoluzione umanistica. Di qui la necessità che il cristianesimo riscopra la propria dimensione più autenticamente spirituale ed etica e la proponga agli uomini, anche nella sfera politica perché è lì che ve ne è maggior bisogno. Forse il termine 'civismo' non rende in italiano il pensiero più autentico dello storico francese. La proposta è più ambiziosa e sottile. La trasmissione del consenso si realizzava in passato attraverso le grandi organizzazioni (anche quelle ecclesiastiche), ed era in questo senso ampia, ma in qualche misura corporativa. Oggi, la società civile è più frastagliata e meno dipendente dalle strutture e dalle istituzioni, ma è assai più disponibile e pronta ad ascoltare, a ricercare punti di riferimento che sostengano e spieghino l’esperienza umana nei suoi momenti vitali. La democrazia, vincente sul piano politico e delle regole, è muta sui contenuti, sulle vie da seguire, sulle finalità da perseguire. Spetta ad altri pronunciarsi e attirare gli animi con una capacità di convincimento rinnovata. Resta aperto un punto di discussione. È vero che la coscienza individuale oggi ha bisogno più di ieri di essere interpellata, ed è più pronta a rispondere e a scegliere tra idealità e tra progetti di vita. Ma qualunque aggregazione di consenso tende per sua natura ad riconoscersi in collettività, in istituzioni, in simboli, e il cristianesimo non fa eccezione a questa regola tendenziale.
Mi sembra, però, che la proposta di Gauchet resti forte quando chiede che la democrazia sia capace di favorire l’espressione delle qualità spirituali, etiche e ideali, presenti nel tessuto sociale, perché ad esse si ispirino anche quelle parti della politica che si sono svuotate e impoverite di ogni sostanza.
Articolo da Avvenire



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