Per orientarsi sulla discussione del disegno di legge sul testamento biologico è opportuno anzitutto una chiarificazione del termine 'testamento'. Il termine italiano 'testamento biologico', infatti, traduce il termine inglese living will, che significa «volontà espressa in vita». Nel mondo anglosassone si utilizza anche l’espressione advance care directives, cioè, «direttive anticipate per il medico». Il Comitato Nazionale per la Bioetica ha preferito ricorrere al termine di 'dichiarazione anticipata di trattamento', soprattutto per evidenziare la non vincolabilità di tale dichiarazione per il medico. In buona sostanza, si tratta di documenti in cui vengono raccolte le volontà del paziente e che hanno lo scopo di tutelare il paziente da eventuali comportamenti arbitrari da parte dei medici in caso di perdita, temporanea o definitiva, della capacità di intendere e di volere. Si vorrebbe così prolungare quella relazione medico-paziente in cui svolge un ruolo centrale il cosiddetto 'consenso informato' e promuovere l’esercizio dell’autonomia del paziente. I cattolici ricorrono all’espressione 'legge di fine vita', perché essa garantisce meglio il concetto della vita come di un bene inviolabile e non negoziabile. Secondo la concezione cristiana dell’uomo, ora, la parola 'testamento' non è quella giusta, perché con essa si intende la facoltà di disporre di una cosa che si possiede e che si vuole donare ad altra persona o ad altra istituzione. Ma la vita non è una cosa qualsiasi, un semplice oggetto che si possiede, e di cui si può disporre liberamente a proprio piacimento. Essa è indisponibile; è un dono. Non la si è potuta scegliere all’origine, e non la si può conseguentemente rifiutare al termine. Per questo motivo, è preferibile parlare di 'dichiarazione anticipata sul trattamento di fine vita'. Con questa dichiarazione, una persona, nel pieno possesso delle sue facoltà, dispone di accettare o di rifiutare un determinato trattamento medico, ma non di voler morire. Purtroppo, la prevalente mentalità utilitaristica porta a parlare di 'qualità della vita' e invoca la difesa di questa qualità per mezzo della legge. Si invoca il diritto di morire degnamente, il diritto di non nascere, persino il diritto del figlio nato con handicap a fare causa ai genitori. Di per sé, la legge non è il luogo più adatto per garantire una determinata concezione della vita e della morte. A tutelare la vita umana dovrebbero bastare il codice deontologico dei medici e la costituzione italiana, oltre che, ovviamente, le proprie convinzioni religiose. E’ stato scritto che 'ci sono molte più cose in cielo e in terra di quante non ne possano contenere i loro codici e i loro commi', e che, perciò, la concezione della vita e della morte non dovrebbe essere garantita da una maggioranza elettorale. Il rischio cui si va incontro, in questo caso, sarebbe quello di adottare le concezioni della vita e della morte a seconda di chi vince e di chi perde le elezioni. Questa opinione è stata difesa da Panebianco sul «Corriere della Sera». Penso, comunque, sia indiscutibile che in una società pluralista come la nostra ci debbano essere delle norme che escludano ambiguità e incertezze su materie eticamente sensibili, pur tenendo conto che una legge condivisa non si basa necessariamente su un’etica condivisa, ma sulla possibilità di rispettare le diverse etiche dei cittadini.La necessità di una legge sul fine vita è determinata da due fattori. Il primo fattore consiste nella circostanza che la questione di fine vita, sollevata dal caso Eluana Englaro, ha prodotto una sentenza della Cassazione. Questa, in mancanza di una legge, costituisce un precedente che può condizionare la giurisprudenza futura su questa materia. E’ necessaria, quindi, dopo la sentenza della Cassazione, una legge che regoli il fine vita. Il secondo fattore consiste nel fatto che nella questione di fine vita sono in ballo due principi etici, quello della vita umana e quello della libertà individuale. Qualora fosse la stessa persona che deve fare la scelta tra i due principi non ci sarebbe bisogno di una legge. La sua decisione è un fatto personale e ne risponde la sua coscienza. Ma se la scelta di fine vita non può essere praticata dalla stessa persona, bensì ha bisogno dell’apporto di terzi, allora c’è bisogno di una legge. In questo passaggio, infatti, la questione del fine vita perde la natura privata e diventa pubblica, richiedendo che venga regolamentata per legge.Nel ribadire la necessità di una legge, tuttavia, non si deve dimenticare il fatto che le leggi si fondano su certezze, e sulla nascita e sulla morte anche la scienza ha poche certezze; ha più domande che risposte. In ultima analisi, per la scienza, la zona della nascita e della morte è ancora una zona grigia, dove si deve ancora cercare per arrivare ad evidenze incontrovertibili. La sociologia, la politica, l’opinione pubblica chiedono alla scienza delle verità e delle certezze 'in bianco e nero'. La scienza, però, ora come ora, può offrire solo conoscenze 'in grigio'. Perché, per esempio, un medico anestesista sostiene che la persona in stato vegetativo persistente non percepisce e non soffre, ed un altro medico anestesista sostiene che la stessa persona percepisce e soffre? Perché, se Eluana non percepiva e non soffriva ha dovuto essere sedata dopo la sospensione dell’idratazione e dell’alimentazione? Come applicare il principio della carta costituzionale che prescrive all’articolo 32 che 'nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge' e, allo stesso tempo, che 'la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana'? L’alimentazione, considerata un diritto inalienabile dai principi dell’Onu, può essere sospesa in base a una sentenza di un giudice, che stabilisce che essa è da considerarsi 'trattamento sanitario' e, in base ad una volontà supposta da testimonianze di persone terze, da il via libera alla sospensione? Basta l’interpretazione di un giudice per decidere sull’inizio e la fine della vita umana? Ognuno può constatare che ci troviamo di fronte a problemi e interrogativi drammatici che non possono essere affrontati con risposte ideologiche.Ma come comportarsi, allora, in questa situazione di pluralismo e di incertezza? La morale cristiana, condivisibile anche dall’ateo Enzo Jannacci, per il quale 'l’esistenza umana è uno spazio che ci hanno regalato e che dobbiamo riempire di senso sempre e comunque', consiglia di adottare in questi casi il principio di precauzione. In base a questo principio, quando non si ha una verità incontrovertibile, ossia non si ha la certezza di una determinata situazione di fine vita, si adotta la scelta che è a favore della difesa e della conservazione della vita. Anche il buon senso e l’esperienza confermano la bontà di questo principio, perché ci dicono che ciò che ognuno di noi ha di più caro è la vita. Non è condivisibile, perciò, l’idea che ci siano persone o categorie di persone che hanno meno valore di altre a motivo del loro stato di malattia, e la cui vita venga definita meno degna di essere vissuta. La Chiesa nutre profonda stima verso la scienza, rispetta e promuove l’uso di un corretto metodo scientifico, e incoraggia le buone applicazioni delle sue scoperte alla diagnosi e alla terapia medica. Ma riconosce che non si può chiedere alla scienza di spiegare il senso di una vita.
IGNAZIO SANNA arcivescovo di Oristano
IGNAZIO SANNA arcivescovo di Oristano
2 commenti:
Benedetto XVI principi non negoziabili per la Chiesa
Come cattolici, facciamo parte di una comunità morale e culturale, questo ci aiuta a fare delle scelte in politica e contribuire ad una maggiore giustizia e pace.
Noi cattolici difendiamo la vita umana dal concepimento fino alla morte naturale.
Per quanto riguarda la Chiesa cattolica, l'interesse principale dei suoi interventi nell'arena pubblica è la tutela e la promozione della dignità della persona e quindi essa richiama consapevolmente una particolare attenzione su principî che non sono negoziabili. Fra questi ultimi, oggi emergono particolarmente i seguenti:
- tutela della vita in tutte le sue fasi, dal primo momento del concepimento fino alla morte naturale;
- riconoscimento e promozione della struttura naturale della famiglia, quale unione fra un uomo e una donna basata sul matrimonio, e sua difesa dai tentativi di renderla giuridicamente equivalente a forme radicalmente diverse di unione che, in realtà, la danneggiano e contribuiscono alla sua destabilizzazione, oscurando il suo carattere particolare e il suo insostituibile ruolo sociale;
- tutela del diritto dei genitori di educare i propri figli.
Questi principi non sono verità di fede anche se ricevono ulteriore luce e conferma dalla fede. Essi sono iscritti nella natura umana stessa e quindi sono comuni a tutta l'umanità. L'azione della Chiesa nel promuoverli non ha dunque carattere confessionale, ma è rivolta a tutte le persone, prescindendo dalla loro affiliazione religiosa."
http://justin.tv/meditazion
Benedetto XVI principi non negoziabili per la Chiesa
Come cattolici, facciamo parte di una comunità morale e culturale, questo ci aiuta a fare delle scelte in politica e contribuire ad una maggiore giustizia e pace.
Noi cattolici difendiamo la vita umana dal concepimento fino alla morte naturale.
Per quanto riguarda la Chiesa cattolica, l'interesse principale dei suoi interventi nell'arena pubblica è la tutela e la promozione della dignità della persona e quindi essa richiama consapevolmente una particolare attenzione su principî che non sono negoziabili. Fra questi ultimi, oggi emergono particolarmente i seguenti:
- tutela della vita in tutte le sue fasi, dal primo momento del concepimento fino alla morte naturale;
- riconoscimento e promozione della struttura naturale della famiglia, quale unione fra un uomo e una donna basata sul matrimonio, e sua difesa dai tentativi di renderla giuridicamente equivalente a forme radicalmente diverse di unione che, in realtà, la danneggiano e contribuiscono alla sua destabilizzazione, oscurando il suo carattere particolare e il suo insostituibile ruolo sociale;
- tutela del diritto dei genitori di educare i propri figli.
Questi principi non sono verità di fede anche se ricevono ulteriore luce e conferma dalla fede. Essi sono iscritti nella natura umana stessa e quindi sono comuni a tutta l'umanità. L'azione della Chiesa nel promuoverli non ha dunque carattere confessionale, ma è rivolta a tutte le persone, prescindendo dalla loro affiliazione religiosa."
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