sabato 28 aprile 2007

SUOR MARIA ROSA PELLESI IMPARO' A VIVERE LA SOFFERENZA COME UN ATTO DI AMORE

Carmelitani Scalzi - Provincia Romana dei Padri Carmelitani Scalzi - Via XX Settembre, 17



Paolo Guiducci

Non ha fondato ordini religiosi. Non ha avuto una vita avventurosa. La sua biografia a prima vista è scarna. Perché allora domani a Rimini suor Maria Rosa Pellesi sarà proclamata beata?
Un episodio rivelatore. Il 30 novembre 1972, il giorno prima di morire, la religiosa - minata da una grave forma di tubercolosi polmonare - parla con la nipote, anch'ella dell'ordine delle Francescane Missionarie di Cristo. «Mi sono inquietata col Signore e l'ho sgridato - dice suor Francesca -. Perché se ti vuole in Paradiso gli ho detto di prenderti subito, ma se ti vuole ancora qui, ti lasci in condizioni dignitose». Suor Pellesi è d'altro avviso: «No, suor Francesca: io ho detto al Signore che gli lascio la porta spalancata, perché entri ed esca quando e come vuole».
Bruna - questo il nome di battesimo - ha abbracciato senza riserve Cristo e la sua Chiesa, vivendo l'intera esistenza come una grazia. Per 27 anni ha vissuto tra sanatori e ospedali un calvario di sofferenze, ma in Cristo ha saputo essere «scandalosamente» felice. Parola sua: «Sono tanto felice che mi pare impossibile esserlo di più», dirà tra una cura e l'altra, chiamando «grazia» la propria malattia. «La biografia mette in luce questo aspetto - ha scritto l'arcivescovo Angelo Comastri nella prefazione al recente volume di Valerio Lessi Una donna felice. Il "segreto" di suor Maria Rosa Pellesi (San Paolo) - lasciando parlare il dolore, anzi lasciandolo cantare».
Come è arrivata a tanta intimità con Cristo? Figlia di contadini, cresciuta nel Modenese in un ambiente segnato dal lavoro, il canto e la preghiera, Bruna è una ragazza piacente, vivace, ama vestirsi bene e non lesina cure per il corpo (caratteristica che non perderà neppure nei lunghi anni di degenza). Corteggiata dai coetanei, sceglie Cristo: a 23 anni entra tra le Francescane Missionarie di Cristo, a Rimini. La mamma la saluta così: «Vai e fatti santa, solo questa può essere la motivazione adeguata per lasciarci».
Dopo soli cinque anni però è costretta a varcare la soglia dell'ospedale: diventerà la sua casa. «Vivrà la sofferenza come un atto di amore», spiega padre Alessio Martinelli, il suo padre spirituale. Ammalati, medici e infermiere sono colpiti dalla "letizia" con cui la suora vive la sua via crucis. Malattia grave, sofferenze tormentose; ma la suora non perde il sorriso, non si lamenta, non si lascia abbattere dalla disperazione. «Tenetemi in vita - dirà ai medici, ormai allo stremo delle forze - perché c'è ancora tanta gente da salvare».
La suora ha lasciato oltre duemila lettere - raccolte in 17 volumi - grazie alle quali entra in contatto con tante persone. Muore nel 1972 nella Casa San Giuseppe delle religiose di Sassuolo; le sue spoglie riposano a Rimini. «La tubercolosi non le impedì di vivere una vita bella - ricordano dall'Istituto -. Era sempre sorridente, disponibilissima ad aiutare tutti», incalza suor Edoarda dall'Oasi Francescana di Serramazzoni.
Il miracolo attribuito all'intercessione di suor Maria Rosa riguarda una suora veneta, Fiorenza Manzan, di 68 anni. È il 13 ottobre 1988: suor Fiorenza è a Rimini, intenta a raccogliere cachi dalla pianta nel cortile della casa generalizia delle suore. Perde l'equilibrio e prima di cadere rovinosamente a terra da una scala a pioli chiede aiuto a suor Maria Rosa. Rimasta in coma e più volte sul punto di morte, sorprende i medici dell'ospedale «Infermi» per una veloce quanto inspiegabile guarigione: viene dimessa il 26 novembre 1988. Ora sta bene e fa l'autista. Proprio sotto quell'albero di cachi suor Pellesi era stata fotografata l'ultima volta all'aperto oltre vent'anni prima, nel 25° della sua professione
Avvenire

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