mercoledì 18 marzo 2009

La Cetra di Elia. http://twitter.com/EliadellaCroce

http://it.justin.tv/carmelitani
L'UOMO NON PUO' VIVERE SENZA AMORE

Qual è il senso della mia vita?
Come posso conseguire la felicità? Non c’è un solo essere umano che non si ponga, prima o poi, queste domande, tra loro correlate. Dalla loro risposta dipende la possibilità di riuscire a dare un valore persino alla malattia, alla disabilità, alla sofferenza, come dice anche Nietzsche: «L’uomo, l’animale più coraggioso e più abituato al dolore, in sé non nega la sofferenza; la vuole, la ricerca persino, posto che gli si indichi un senso di essa, un perché del soffrire». Ora, Aristotele notava che tutti gli esseri umani si fanno queste domande, ma poi divergono nelle risposte: per alcuni il fine ultimo è il successo, per altri la ricchezza, il piacere e così via. Secondo il conteggio di Varrone, riportato da Agostino, già solo nella filosofia antica si potevano enumerare 288 differenti opinioni riguardo alla felicità. Ebbene, nel trentennale della Redemptor hominis

(sulla quale la settimana scorsa si è tenuto un convegno all’Università Lateranense) di Giovanni Paolo II, possiamo rinvenire in questa sua prima enciclica la risposta cruciale: «L’uomo non può vivere senza amore. Egli rimane per se stesso un essere incomprensibile, la sua vita è priva di senso, se non gli viene rivelato l’amore, se non s’incontra con l’amore, se non lo sperimenta e non lo fa proprio, se non vi partecipa vivamente» (n. 10). Si tratta di un’inestimabile verità, densa di significato. Anzitutto, l’essere umano ha bisogno dell’amore (e non solo dell’accudimento) di altri, nella tenera infanzia per poter sopravvivere, e nel resto della vita per non patire diversi problemi della personalità. Inoltre, noi abbiamo costitutivamente bisogno non solamente di essere amati, ma anche di amare. In effetti, l’infelicità è una condizione di solitudine durevole: chi è realmente e non soltanto temporaneamente solo è tremendamente infelice. Certo, a volte abbiamo bisogno di stare a tu per tu con noi stessi, ma chi non intrattiene mai relazioni significative con alcuno è terribilmente infelice. Ci sono uomini solitari che vivono in pace con se stessi, ma la loro è una condizione di assenza di turbamento, di difesa dalle possibili ferite che derivano dai rapporti interpersonali, non di felicità. Infatti, non si può essere felici da soli, perché l’uomo è un essere sociale (e i contemplativi sono in stabile comunione con colui che Platone chiamava il Primo Amico). Del resto, per eliminare la solitudine non ci basta nemmeno vivere in mezzo agli altri, perché possiamo restare soli anche in mezzo ad una folla se intratteniamo delle relazioni superficiali. Abbiamo piuttosto bisogno di entrare in comunione interpersonale con gli altri, il che è possibile appunto grazie all’amore. Insomma, siamo spesso concentrati su noi stessi, quando invece (come dice un’immagine efficace di Kierkegaard), la porta della felicità si apre verso l’esterno, cioè amando gli altri. Ora, se questo discorso vale anche per il non credente, il cristiano può comprenderne la ragione profonda, che lo stesso Giovanni Paolo II ha messo in luce nella Familiaris consortio

(n. 11): «Dio ha creato l’uomo a sua immagine e somiglianza: chiamandolo all’esistenza per amore, l’ha chiamato nello stesso tempo all’amore. Dio è amore e vive in se stesso un mistero di comunione personale d’amore. […] Dio iscrive nell’umanità dell’uomo e della donna la vocazione, e quindi la capacità e la responsabilità dell’amore e della comunione. L’amore è pertanto la fondamentale e nativa vocazione di ogni essere umano».


Pace a colui che ha scritto e a chi legge.

Pace a coloro che amano il Signore

in semplicità di cuore.










Nessun commento: