lunedì 23 febbraio 2009

NO ALLA EUGENETICA


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Testo integrale del discorso pronunciato ieri da Benedetto XVI durante l’udienza ai partecipanti al Congresso scien­tifico internazionale «Le nuove frontiere del­la genetica e il rischio dell’eugenetica» pro­mosso dalla Pontificia Accademia per la vi­ta in occasione della XV Assemblea generale. S ignori cardinali, venerati fratelli nell’e­piscopato e nel sacerdozio, illustri ac­cademici, gentili signori e signore! Mi è particolarmente gradito potervi ricevere in occasione della XV Assemblea ordinaria della Pontificia Accademia per la vita. Nel 1994 il mio venerato predecessore Papa Gio­vanni Paolo II la istituiva sotto la presiden­za di uno scienziato, il professor Jerôme Lejeune, interpretando con lungimiranza il NO ALLA EUGENETICA delicato compito che avrebbe dovuto svol­gere nel corso degli anni. Ringrazio il presi­dente, monsignor Rino Fisichella, per le pa­role con le quali ha voluto introdurre que­sto incontro, confermando il grande impe­gno dell’Accademia a favore della promo­zione e difesa della vita umana. D a quando, nella metà dell’Ottocen­to, l’abate agostiniano Gregorio Mendel, scopri le leggi dell’eredita­rietà dei caratteri, tanto da essere conside­rato il fondatore della genetica, questa scien­za ha compiuto realmente passi da gigante nella comprensione di quel linguaggio che sta alla base dell’informazione biologica e che determina lo sviluppo di un essere vi­vente. È per questo motivo che la genetica moderna occupa un posto di particolare ri­lievo all’interno delle discipline biologiche che hanno contribuito al prodigioso svilup­po delle conoscenze sull’architettura invisi­bile del corpo umano e i processi cellulari e molecolari che presiedono alle sue molte­plici attività. La scienza è giunta oggi a svelare sia diffe­renti meccanismi reconditi della fisiologia umana sia processi che sono legati alla com­parsa di alcuni difetti ereditabili dai genito­ri come pure processi che rendono talune persone maggiormente esposte al rischio di contrarre una malattia. Queste conoscenze, frutto dell’ingegno e della fatica di innume­revoli studiosi, consentono di giungere più facilmente non solo a una più efficace e pre­coce diagnosi delle malattie genetiche, ma anche a produrre terapie destinate ad alle­viare le sofferenze dei malati e, in alcuni ca- si, perfino a restituire loro la speranza di riac­quistare la salute. Da quando, inoltre, è di­sponibile la sequenza dell’intero genoma u­mano anche le differenze tra un soggetto e un altro e tra le diverse popolazioni umane sono diventate oggetto di indagini geneti­che che lasciano intravedere la possibilità di nuove conquiste. L’ ambito della ricerca rimane anche oggi molto aperto e ogni giorno vengono dischiusi nuovi orizzonti ancora in larga parte inesplorati. La fatica del ricercatore in questi ambiti così enig­matici e preziosi richiede un particolare so­stegno; per questo la collaborazione tra le differenti scienze è un supporto che non può mai mancare per approdare a risultati che siano efficaci e nello stesso tempo produt­tori di autentico progresso per l’umanità in­tera. Questa complementarità permette di e­vitare il rischio di un diffuso riduzionismo genetico, incline a identificare la persona e­sclusivamente con il riferimento all’infor­mazione genetica e alle sue interazioni con l’ambiente. È necessario ribadire che l’uomo sarà sem­pre più grande di tutto ciò che forma il suo corpo; egli, infatti, porta con sé la forza del pensiero, che è sempre tesa alla verità su di sé e sul mondo. Ritornano, cariche di signi­ficato, le parole di un grande pensatore che fu anche valente scienziato, Blaise Pascal: «L’uomo non è che un giunco, il più debole nella natura, ma è un giunco pensante. Non occorre che l’universo intero si armi per schiacciarlo; un vapore, una goccia d’acqua è sufficiente per ucciderlo. Ma quand’anche l’universo intero lo schiacciasse, l’uomo sa­rebbe pur sempre più nobile di ciò che lo uccide, perché egli sa di morire e conosce la superiorità che l’universo ha su di lui; l’uni­verso invece non ne sa nulla» ( Pensieri, 347). Ogni essere umano, dunque, è molto di più di una singolare combinazione di informa­zioni genetiche che gli vengono trasmesse dai genitori. La generazione di uomo non potrà mai essere ridotta a una mera ripro- duzione di un nuovo individuo della specie umana, così come avviene con un qualun­que animale. Ogni apparire nel mondo di u­na persona è sempre una nuova creazione. Lo ricorda con profonda sapienza la parola del Salmo: «Sei tu che hai creato le mie vi­scere e mi hai tessuto nel seno di mia ma­dre... Non ti erano nascoste le mie ossa quan­do venivo formato nel segreto» (139,13.15). Se si vuole entrare nel mistero della vita u­mana, quindi, è necessario che nessuna scienza si isoli, pretendendo di possedere l’ultima parola. Si deve condividere, invece, la comune vocazione per giungere alla ve­rità pur nella differenza delle metodologie e dei contenuti propri a ogni scienza. I l vostro convegno, comunque, non ana­lizza solamente le grandi sfide che la ge­netica è tenuta ad affrontare; ma si e­stende pure ai rischi dell’eugenetica, prati­ca non certamente nuova e che ha visto nel passato porre in essere forme inaudite di au­tentica discriminazione e violenza. La di­sapprovazione per l’eugenetica utilizzata con la violenza da un regime di stato, oppu­re frutto dell’odio verso una stirpe o una po­polazione, è talmente radicata nelle co­scienze che ha trovato espressione formale nella Dichiarazione universale dei diritti del­l’uomo. Nonostante questo, appaiono ancora ai gior­ni nostri manifestazioni preoccupanti di questa pratica odiosa, che si presenta con tratti diversi. Certo, non vengono riproposte ideologie eugenetiche e razziali che in pas­sato hanno umiliato l’uomo e provocato sof­ferenze immani, ma si insinua una nuova mentalità che tende a giustificare una di­versa considerazione della vita e della di­gnità personale fondata sul proprio deside­rio e sul diritto individuale. Si tende, quindi, a privilegiare le capacità operative, l’effi­cienza, la perfezione e la bellezza fisica a de­trimento di altre dimensioni dell’esistenza non ritenute degne. Viene così indebolito il rispetto che è dovu­to a ogni essere umano, anche in presenza di un difetto nel suo sviluppo o di una ma­­lattia genetica che potrà manifestarsi nel cor­so della sua vita, e sono penalizzati fin dal concepimento quei figli la cui vita è giudi­cata come non degna di essere vissuta. necessario ribadire che ogni discri­minazione esercitata da qualsiasi po­tere nei confronti di persone, popoli o etnie sulla base di differenze riconducibili a reali o presunti fattori genetici è un attenta­to contro l’intera umanità. Ciò che si deve ri­badire con forza è l’uguale dignità di ogni essere umano per il fatto stesso di essere ve­nuto alla vita. Lo sviluppo biologico, psichi­co, culturale o lo stato di salute non posso­no mai diventare un elemento discrimi­nante. È necessario, al contrario, consolidare la cul­tura dell’accoglienza e dell’amore che testi­moniano concretamente la solidarietà ver­so chi soffre, abbattendo le barriere che spes­so la società erige discriminando chi è disa­bile e affetto da patologie, o peggio giun­gendo alla selezione ed al rifiuto della vita in nome di un ideale astratto di salute e di per­fezione fisica. Se l’uomo viene ridotto a og­getto di manipolazione sperimentale fin dai primi stadi del suo sviluppo, ciò significa che le biotecnologie mediche si arrendono al­l’arbitrio del più forte. La fiducia nella scien­za non può far dimenticare il primato del­l’etica quando in gioco vi è la vita umana. Confido che le vostre ricerche in questo se­t­È tore, cari amici, possano continuare con il dovuto impegno scientifico e l’attenzione che l’istanza etica richiede su problemati­che così importanti e determinanti per il coerente sviluppo dell’esistenza personale. È questo l’auspicio con cui desidero con­cludere questo incontro. Nell’invocare sul vostro lavoro copiosi lumi celesti, imparto a voi tutti con affetto una speciale benedizio­ne apostolica. Benedetto XVI
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