
Di Charles Taylor
La sordità di molti filosofi, sociologi e storici nei confronti della dimensione spirituale può essere notevole. Ciò è oltremodo dannoso, poiché influenza la cultura dei media e l'opinione delle persone istruite. Riprendo un caso sorprendente, un'affermazione resa non da un sociologo, ma da un cosmologo premio Nobel, Steven Weinberg. Un episodio spesso usato dai media e nei dibattiti. Weinberg disse (cito a memoria): «Ci sono persone buone che fanno cose buone e persone cattive che fanno cose cattive, ma perché le persone buone facciano cose cattive, ci vuole la religione».
Un modo di pensare piuttosto "approssimativo" e invalidante. Ciò che si vuole esprimere è in realtà qualcosa del genere: la terribile violenza del XX secolo non ha niente a che fare con persone benpensanti, razionali e illuminate. Si uniscono al dibattito, dall'altro lato, certi credenti che segnalano come Hitler, Stalin, Mao, Pol Pot fossero tutti nemici della religione e che i buoni cristiani come loro non hanno preso parte a tali orrori. Dimenticando, per convenienza, le crociate, l'Inquisizione e molto altro.
Entrambe le fazioni hanno bisogno di essere distolte dal loro sogno tranquillizzante e di riconoscere che nessuno, in virtù delle proprie giuste convinzioni, è immune dall'essere attratto dalla violenza collettiva: dalla tentazione di prendere di mira un gruppo di persone considerato responsabile di tutti i nostri mali, dall'illusione della purezza che deriva dalla prontezza a combattere una forza maligna con tutti i mezzi a disposizione. Abbiamo bisogno di capire urgentemente cosa rende pronti a farsi inglobare in questo tipo di progetti.
Abbiamo infatti una comprensione molto imperfetta di questo fenomeno. Alcuni dei nostri più capaci studiosi, come René Girard o Sudhir Kakar, l'hanno indagato. Grandi scrittori come Dostoevskij l'hanno illuminato, ma esso rimane ancora misterioso. Ciò che comprendiamo in modo altrettanto imperfetto è come la leadership spirituale e carismatica di u n Gandhi di un Mandela o di un Tutu possa recuperare le persone dall'orlo di questo abisso. Senza questa azione spirituale, gli sforzi, anche animati dalle migliori intenzioni, di deviare la storia verso una via nuova e più umana, hanno spesso trasformato la stessa storia nel banco del macellaio, per usare la memorabile definizione di Hegel.
Abbiamo urgente necessità di comprendere meglio la propensione umana alla violenza: secondo gli autori che ho menzionato sopra, la spiegazione non può essere riduttivamente socio-biologica, ma deve prendere in considerazione la lotta umana per trovare un significato e una direzione spirituale, di cui gli appelli alla violenza sono una perversione.
Ho scelto l'esempio della violenza di gruppo e delle sue spiegazioni perché, ovviamente, suscita interrogativi pressanti nel nostro mondo. Ma le barriere tra scienze sociali e dimensione spirituale sono invalidanti anche in altri ambiti. Ho lavorato recentemente sul problema di cosa intendiamo realmente quando descriviamo l'attuale civiltà occidentale come "secolarizzata". Per lungo tempo quello della secolarizzazione è stato ritenuto un fenomeno inevitabile e privo di problematicità. Si pensava che certe caratteristiche della modernità - sviluppo economico, urbanizzazione, mobilità crescente, livelli di istruzione più elevati - portassero inesorabilmente a un declino della fede e della pratica religiosa. Era la famosa "tesi della secolarizzazione", che per lungo tempo ha dominato nelle scienze sociali e nella storiografia. Eventi recenti hanno scosso questa convinzione, anche tra gli studiosi "ortodossi".
Tuttavia, ben prima che si verificasse questo cambio di prospettiva, una minoranza di ricercatori aveva già rovesciato questa teoria. In particolare David Martin, con la sua epocale General Theory of Secularization. La tesi principale di questo lavoro, e di altri che gli sono succeduti, è che la teoria della secolarizzazione non era solo errata sul piano dei risultati finali, ma fraintendeva l'intero processo a cui faceva riferimento.
Era vero, in realtà, che le varie facce della modernizzazione destabilizzavano le forme più arcaiche e tradizionali della vita religiosa, ma forme nuova venivano sempre reinventate, e alcune di queste acquisivano un'enorme rilevanza. David Martin ha tracciato lo sviluppo di nuove congregazioni nel mondo metodista e di varie ondate di "revival" negli Stati Uniti, con la nascita delle realtà pentecostali un secolo fa, che ora si stanno diffondendo con grande rapidità in tutte le parti del globo. Cambiamenti di portata altrettanto vasta si sono verificati nella Chiesa cattolica in molte parti del mondo.
Uscendo dai vecchi schemi intellettuali si apre un intero, nuovo campo di grande importanza: quali sono le nuove forme di religione che si stanno sviluppando in Occidente? E che rapporto hanno con quelle che stanno crescendo altrove, in Asia, Africa, in America Latina? Questi quesiti fanno parte di ciò che sto cercando di studiare, traendo spunti dalle analisi pionieristiche di David Martin, dagli scritti di Robert Bellah e dal lavoro di sociologi più giovani, come José Casanova e Hans Joas.
Alcune di queste forme, come quelle in cui la religione o l'appartenenza confessionale diventano la base di una mobilitazione politica nazionalista, hanno assunto proporzioni enormi, persino minacciose, ai nostri giorni. Abbiamo bisogno di capire la loro dinamica, i loro pericoli e i loro benefici, un ambito che la vecchia teoria della secolarizzazione ha tenuto nascosto alla nostra vista.
Pace a colui che ha scritto e a chi legge.
Pace a coloro che amano il Signore
in semplicità di cuore.
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