
La scena è familiare: un fischio e i venditori ambulanti che assiepavano il marciapiede - offrendo borse e profumi di firme sconosciute, ma simili ad altre conosciute, oggetti di vaghe etnie, orologi, paccottiglie e molto altro - avvolgono le mercanzie nel panno che le mostrava e fuggono. Accade a Milano, a Barcellona, a Parigi. I poliziotti che li rincorrono sono convinti di sradicare così una piaga della città. Non sanno di far parte di una grande lotta che in tutto il mondo, e soprattutto nei Paesi poveri e con un alto tasso di disoccupazione vuole sradicare il commercio ambulante. A Città del Messico come a Puebla, a Medellin come in Sudan, a Quito come a Cuzco l'ambulantato viene additato come uno dei mali principali della città. Benpensanti di Paesi con ben altre piaghe da risanare parlano concitatamente nei blog di battaglia per la civiltà. La protesta civile ha successo, gli ambulanti vengono ammassati in enormi capannoni in periferia. Qualcuno ricorda che in Messico circa un milione di persone vivono di ambulantato e che per molti è l'unica maniera di sopravvivere. Altri rammentano che il settore informale ha sempre sostenuto l'economia formale e che se gli ambulanti sfuggono alle tasse a cui sono sottoposti i commercianti, nell'insieme però producono una ricchezza che consente che il commercio nel suo insieme faccia circolare denaro. In Paesi come il Vietnam il commercio informale per strada è talmente diffuso da essere alla base del boom economico del Paese, con ricadute che vanno dalle mance al poliziotto che altrimenti non ce la farebbe con il suo stipendio, al tessuto di solidarietà tra ambulanti che cementa la vita di un quartiere.
Pochi ricordano che le città sono sempre state sede di un commercio per strada, che la vitalità di una città è costituita da fiere, mercati, bancarelle e ambulanti. Una delle città più belle del mondo, Mysore in India non è altro che un enorme festa-mercato di strada di fiori, frutta e profumi. Credere che le città siano mura e monumenti e non vita è un vecchio vizio degli architetti e degli enti di protezione dei centri storici. La cosa grave è che oggi questo tipo di interessi si è coalizzato con la battaglia per il progresso che ha come fine uccidere la vita delle città dell'America Latina e di altri Paesi sfuggiti, fino ad ora, all'imbalsamazione della vita urbana.
È terribile assistere all'attuazione del verbo per cui l'ambulantato sarebbe solo il resto di un passato da dimenticare. Ambulanti e criminalità, ambulanti e illegalità sono slogan amplificati dalle organizzazioni che fanno capo alle catene commerciali. A New York un gruppo di 78 mamme messicane che vendono per strada tamales, tacos e burritos, cioè cucina messicana tradizionale e a poco costo, dopo anni di prevaricazioni hanno costituito un sindacato ed ottenuto una licenza. È ridicolo pensare allo slogan «Tolleranza zero» contro questo tipo di attività, anche se l'efficacia della equiparazione illegalità commerciale-criminalità è efficace. Non si capisce perché il carrettino su ruote che vende hamburger, il fruttivendolo che porta le primizie in giro, il rigattiere o l'arrotino non debbano essere parte del paesaggio di una città, come ricorda l'attività stessa dell'ente che in Italia raccoglie i venditori ambulanti, la Fivav e l'Anva.
Alla base della criminalizzazione dell'ambulantato c'è la lotta spietata contro la strada come luogo da vivere e non solo come spazio di circolazione. Se architetti come Renzo Piano stanno rivalutando il significato della strada - ad esempio nel progetto della rambla che connetterà Sesto San Giovanni con il nord di Milano -, nulla o quasi prevede nello stesso progetto spazi per qualcosa che non sia una boutique o un McDonald's. La cosa più grave è che questa tendenza sta attraversando tutto il mondo - mentre invece distrugge una offerta di servizi capillare e non rimpiazzabile che sarebbe molto più semplice regolamentare, come la legislazione italiana ancora consente. La ricaduta pe rò sui paesi del Terzo mondo è paradossale. Fa parte della modernizzazione della povertà di cui parlava Ivan Illich in un magnifico libro sul Lavoro Ombra. I Paesi ricchi obbligano quelli poveri ad imitarli per eliminare le caratteristiche specifiche che consentono a questi ultimi di sottrarsi alla competizione. Il lavoro informale è una fonte incredibile di ricchezza e se cade nelle mani delle mafie locali è proprio per un'assenza di politiche di protezione e regolarizzazione. Ci pensino bene i legislatori anche da noi. Rincorrere un emigrato che vende accendini significa rinforzare le possibilità che la criminalità controlli tutto questo settore. E fare credere a tutti che la civiltà passa nelle contrapposizione tra le borse Prada e quelle di Parda.
Pace a colui che ha scritto e a chi legge.
Pace a coloro che amano il Signore
in semplicità di cuore.
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