martedì 24 aprile 2007

IL GIUDIZIO UNIVERSALE


Carmelitani Scalzi - Provincia Romana dei Padri Carmelitani Scalzi - Via XX Settembre, 17

Paradiso o inferno, dimensioni dell’estremo passaggio che segnerà il destino dell’uomo: artisti e teologi hanno cercato di dare un volto a quel momento per tanti aspetti fonte di «timore e tremore» nel quale le schiere di eletti e dannati saranno separate per sempre dal Cristo Giudice assiso in trono. L’immaginazione ha prodotto sublimi capolavori, cercando di alzare almeno con la fantasia quel velo che impedisce di sapere quali forme concrete assumeranno il premio e la pena Il concetto di resurrezione dei corpi è essenziale per il cristianesimo: dopo la seconda venuta di Cristo le anime dei morti saranno di nuovo rivestite da una carne gloriosa, spirituale e incorruttibile, ripetendo così il duplice movimento prima discendente (la caduta di Adamo) e poi ascendente (il ritorno a Dio) che ha ritmato tutta la storia della salvezza, e il cui centro è il sacrificio del Salvatore sulla croce

Il Giudizio universale

La sua figura era la prima che il fedele vedeva entrando in chiesa o l’ultima quando usciva; scenario grandioso con centinaia di protagonisti che davano dei «novissimi» la visione drammatica già anticipata dalle Scritture: il ritorno «sulle nubi» del Figlio preceduto da cataclismi quali l’oscuramento del sole

e il cielo che s’arrotola «come una striscia di papiro», mentre le trombe degli angeli suonano l’ultimo appello

Di Marcello Angheben

Durante tutta la seconda metà del Medio Evo, il tema iconografico del Giudizio Universale ha occupato nel cuore delle arti cristiane d'Occidente e d'Oriente un posto a parte, sia per la sua visibilità e il suo sviluppo spaziale che per la diversità delle figure che vi si svolgono. Il Cristo Gesù che separa i dannati dagli eletti era spesso la prima immagine che il fedele vedeva penetrando nella chiesa, o l'ultima che si imponeva quando ne usciva. I portali e le contro-facciate, che ne furono generalmente i luoghi privilegiati, offrivano agli artisti delle superfici talvolta gigantesche che permettevano lo svolgimento di composizioni che includevano decine, di più centinaia di figure. La grande originalità del Giudizio Universale, in rapporto alla maggior parte degli altri temi biblici, consiste precisamente nella giustapposizione di figure immobili - il Cristo-Giudice, i suoi prossimi e gli intercessori - e in scene drammatiche i cui autori principali sono gli angeli e i demoni. Il Cristo-Giudice, seduto su un trono o su un arcobaleno, incastonato in una gloria luminosa e abitualmente circondato dalla sua corte celeste, costituisce un'autentica teofania, vale a dire una visione di Dio nella sua gloria. La staticità che regna in cielo si ritrova abitualmente in paradiso, cosa che impone in una certa misura la natura stessa di dimora definitiva degli eletti, un luogo di pace e di beatitudine da cui chi ci sta non subisce alcun mutamento. Al contrario di questi due luoghi grandemente valorizzati, l'inferno è spesso animato da una specie di movimento perpetuo il cui fine è quello di garantire un castigo eterno ai dannati. Del resto all'interno e intorno a questo luogo infernale gli artisti hanno dimostrato, principalmente nella seconda metà del Medio Evo, tutto il dinamismo e l'espressionismo di cui erano all'altezza.

Per una buona comprensione dei diversi aspetti del Giudizio Universale in generale e delle rappresentazioni medioevali in particolare, è indispensabile situare in un primo momento il posto che occupa nella concezione cristiana della storia della salvezza, ed evocare in seguito le numerose sorgenti testuali che ne fanno menzione, e, a questo punto ricostituire le diverse tappe del suo svolgimento. Il giudizio pronunciato da Dio alla fine dei tempi costituisce la conclusione logica della storia dell'umanità come la concepiscono la Bibbia e i teologi che l'hanno interpretata. Il mondo sensibile non è eterno; è stato creato da Dio con tutti gli esseri viventi che ci si evolvono, e necessariamente un giorno deve sparire. Quando verrà la fine dei tempi, gli eletti vivranno in compagnia di Dio e degli angeli in un luogo paradisiaco, in un'eternità che non conoscerà notte. E se l'avvenimento che segna la fine di questo mondo è un giudizio è anzitutto perché i primi uomini hanno peccato e hanno trascinato nella loro decadenza l'intera umanità. Dopo la Caduta, la storia cristiana dell'umanità, che si confonde con quella della salvezza, potrebbe essere descritta come un ritorno progressivo a questo paradiso perduto e riassumersi alle due tappe fondamentali che sono la Redenzione il Giudizio Universale.

Nel cuore di questa avventura si inscrive infatti l'Incarnazione - la Prima Venuta di Cristo o Parusia - e il sacrificio sulla croce. Nel momento della sua morte, il Salvatore è sceso, secondo i teologi, agli inferi o al Limbo - lo sheol degli ebrei -, ne ha spezzato le porte e ha estratto tutti i giusti dell'Antico Testamento, cominciando da Adamo ed Eva. In seguito ha riaperto le porte dell'Eden, dove ha introdotto il buon ladrone, a cui aveva promesso che sarebbe stato il primo a entrare in paradiso e tutti quelli che aveva appena estratto dagli artigli di Satana.

Come altra conseguenza della Redenzione, la morte è diventata il momento di una prima separazione fra i buoni e i cattivi: in questa nuova prospettiva, l'inferno, diventato nel frattempo un luogo di supplizi, è destinato unicamente ai secondi, mentre il para diso le cui porte sono state riaperte è diventato la dimora dei primi. Per determinare il destino postumo di queste anime, un tribunale celeste deve necessariamente procedere ad un primo giudizio, il giudizio immediato, chiamato anche giudizio particolare o giudizio dell'anima. La sentenza pronunciata non è tuttavia sempre irrevocabile poiché un secondo giudizio, annunciato dalle Scritture, deve avvenire alla fine dei tempi. Cristo è in effetti chiamato a tornare accanto agli uomini - si tratta della Seconda Parusia - per giudicare insieme i vivi e i morti e pronunciare per gli uni una revisione del primo giudizio e per gli altri una conferma della sentenza. Ma a differenza del giudizio immediato, questo riguarda la totalità degli uomini, presenta un carattere definitivo e si rivolge alle anime che saranno state riunite ai loro corpi resuscitati e non a delle anime separate. Il concetto di resurrezione dei corpi era dunque essenziale, tanto che fu introdotto nel Credo e, di conseguenza, elevato al rango di dogma. Esso implica che alla fine dei tempi tutti gli uomini resusciteranno, seguendo il modello di Cristo e che le anime entreranno di nuovo nei corpi da cui erano uscite, attraverso la bocca, con l'ultimo sospiro. Ma al contrario di questi corpi, quello che rivestiranno le anime sarà glorioso, spirituale e incorruttibile (1 Cor 15, 35-38) e presenterà " l'età perfetta del Cristo" (Ef 4 , 13), cioè trent'anni. Si pone allora il problema dei vivi al quale risponde San Paolo: essi saranno "cambiati" in un istante «perché questo corpo corruttibile rivesta l'incorruttibilità» (1 Cor 15, 52-53) e sollevati con i resuscitati " sopra le nuvole, incontro al Signore per l'aria (1 Tes 4, l7), e questo implica par i teologi che moriranno e resusciteranno istantaneamente. Dopo il Giudizio Universale, sono dunque i corpi resuscitati che dimoreranno per l'eternità all'inferno o in paradiso.

Un quadro di Ambrogio Lorenzetti, circa del 1330 (Siena, Pinacoteca nazionale) most ra in tre tappe che si succedono da sinistra a destra, la Caduta, accompagnata da una discesa fisica di Adamo ed Eva - preceduti dalla personificazione della morte che esibisce la sua falce minacciosa - verso un luogo inferiore a quello che occupa il paradiso; la Redenzione, raffigurata da una Crocefissione, il cui asse divide la composizione in due parti ineguali sovrastanti un mucchio di corpi falciati dalla morte; e infine il giudizio Universale al cui termine i condannati sono respinti verso l'inferno mentre gli eletti cominciano ad elevarsi nella direzione del Giudice che appare allo stesso livello del paradiso terrestre. Questo quadro sintetizza così con una notevole chiarezza il movimento prima discendente - la Caduta - e poi ascendente - il ritorno a Dio - che ha ritmato la storia della salvezza, e la cui fase di mezzo è segnata dal sacrificio del Cristo sulla croce. Questo sacrificio d'altronde è richiamato a due riprese nella scena del Giudizio Universale in cui la croce è esibita da due angeli e portata da uno degli eletti, il che significa esplicitamente che per raggiungere il suo Creatore in cielo, il fedele deve imperativamente seguire il suo esempio e, per riprendere l'immagine del dipinto, portare la sua croce.

Il Nuovo Testamento ha spesso ripreso i termini delle profezie veterotestamentarie, sia insieme, sia separatamente, aggiungendo al massimo delle nuove precisazioni. I testi neotestamentari che sono stati determinanti per la genesi e lo sviluppo dell'iconografia del Giudizio Universale, sono il capitolo 24 e 25 del Vangelo di Matteo e il capitolo 20 dell'Apocalisse. Il lungo discorso che Matteo dedica alla fine dei tempi costituisce anzitutto un monitori ordine morale legato alla subitaneità dell'evento futuro del Giudice, e un'esortazione alla vigilanza che egli illustra per mezzo di numerose parabole, di cui quelle delle vergini sagge e delle vergini stolte (Mt 25,1-13).

Un'altra parabola o piuttosto un'allegoria utilizzata dall'evangelis ta è quella del pastore che separa le pecore dai capri, mettendo le prime alla sua destra e i secondi alla sua sinistra (Mt 25,32-33). Quest'immagine si inserisce tuttavia in una descrizione più realistica della fine dei tempi che, con un brano del capitolo ventiquattresimo, costituirà uno dei fondamenti dell'illustrazione del Giudizio Universale. Per cominciare vi si impara che il ritorno del Figlio dell'uomo - il Cristo - sarà preceduto da cataclismi: «Il sole si oscurerà, la luna non avrà più splendore, le stelle cadranno dal cielo» (Mt 24,29; Mc 13,24). L'Apocalisse precisa su questo tema che il cielo si ritirerà «come una striscia di papiro che si arrotola» (Ap 6,14). Questi due passaggi spiegano la presenza del sole e della luna ai lati del Cristo giudice, così come un altro tema iconografico, piuttosto raro in Occidente ma onnipresente in Oriente, cioè il cielo avvolto da un angelo. «Allora apparirà nel cielo il segno del Figlio dell'uomo» (Mt 24,30). L'interpretazione tradizionale di questo segno è che sia la croce, cosa che traduce in immagini una gran parte dei giudizi universali normali. Gli uomini vedranno poi il Cristo «circondato di gloria e di maestà, tornare sulle nuvole del cielo» (Mt 24,30; Mc 13,27), accompagnato da tutti gli angeli, e assiso «sul suo trono glorioso» (Mt 25,31). Fino a questo stadio della descrizione, le due versioni sono abbastanza concordi, ma il giudizio consecutivo alla Seconda Parusia vi è evocato in due modi diversi. Il capitolo venticinquesimo spiega che il Giudice manderà i suoi angeli, che al suono della tromba risonante, raccoglieranno i suoi eletti dai quattro venti, da un estremo all'altro della terra (Mt 24,31; Mc 13,27), il che lascia supporre che gli angeli che suonano le trombe risusciteranno gli eletti prima di raccoglierli, secondo l'allusione di san Paolo (1 Cor 15,52, 1 Tes 4,16). Questo brano sembra implicare che i dannati non risusciteranno, ma gli esegeti hanno chiaramente affermato il contrario, precisando che se l'evangelista nomina solo gli eletti, è perché i dannati non meritano di essere raccolti in quel modo. Il brano non evoca dunque il Giudizio propriamente detto, né la sorte riservata ai dannati, ma associa al Giudizio Universale il tema degli angeli buccinatori che diventerà praticamente inscindibile dalla sua iconografia.

Il capitolo 25 afferma, al contrario dal capitolo precedente, che saranno tutte le nazioni ad essere raccolte davanti al Giudice - sicuramente dopo la risurrezione dei corpi - e che sarà il Signore a «separare gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capi» (Mt 25,32). «Allora, a quelli che saranno a destra, il Re dirà: Venite benedetti dal padre mio, prendete possesso del regno che è destinato a voi fin dalla creazione del mondo» (Mt 25,34). «Poi, si girerà verso quelli che sono alla sua sinistra: lontano da me, dirà, maledetti, andate nel fuoco eterno destinato al diavolo e ai suoi angeli».

Il secondo testo fondamentale per l'iconografia del Giudizio Universale si trova nell'Apocalisse. Come in Matteo, il Giudizio vi è preceduto da cataclismi: dopo essere stato incatenato per mille anni, Satana sarà liberato e farà guerra alle nazioni, prime di essere bloccato e divorato da un fuoco sceso dal cielo, e affondato in uno stagno di fuoco e di zolfo in cui sarà tormentato nei secoli dei secoli (Ap 20,7-10). Qui comincerà l'ultimo atto della storia umana: il Giudice, che qui resta anonimo, apparirà su un grande trono bianco (Ap 20,11). Poi, i morti risusciteranno scagliati da una parte nel mare e dall'altra nella "morte e inferno" (Ap 20,13). E mentre si aprirà il Libro della Vita e altri libri, i morti grandi e piccoli staranno davanti al trono e saranno giudicati secondo ciò che è scritto nei libri delle loro opere (Ap 20,12). Alla fine, l'inferno, la morte e tutti quelli che non saranno scritti nel Libro della Vita saranno gettati nello stagno di fuoco (Ap 20,15). Nella seconda sezione dell'Apocalisse, direttamente con seguente all'evocazione del giudizio universale, il testo descrive lungamente la Gerusalemme celeste come una città circondata da mura, ornata da pietre preziose e destinata ad accogliere gli eletti (Ap 21-22). Nei commentari questa città appare come una raffigurazione della chiesa attuale ma anche di quella che deve venire, questa è la ragione per cui il soggiorno degli eletti è stato spesso raffigurato sotto l'aspetto di una villa fortificata. A partire dal XI secolo, il fuoco venuto dal cielo e lo stagno di fuoco in cui è affondato Satana diventeranno due componenti fondamentali dei Giudizi Universali dei bizantini, prima di essere adottati in Italia e, più raramente, al nord delle Alpi.

Benché questi due testi fondamentali descrivano l'essenziale di ciò che comporrà i Giudizi Universali medievali, essi restano per certi aspetti un po' lapidari. Così, il Vangelo di Matteo designa senza ambiguità il Cristo come l'unico giudice del tribunale celeste, ma senza spiegarne la ragione, tanto quanto è sorprendente l'assenza del Padre. La risposta a questa domanda è portata dal Vangelo di Giovanni che tuttavia parla assai brevemente della fine dei tempi: «poiché, così come il Padre ha la vita in se stesso, così ha dato al Figlio di avere la vita in sé, e gli ha dato inoltre il potere di esercitare il giudizio poiché è Figlio dell'uomo» (Gv 5,26-27). Questo brano giustifica così non soltanto la parte centrale svolta dal Cristo nell'iconografia del Giudizio Universale, ma anche lo straordinario ricorrere del tema dell'ostentazione degli strumenti della Passione: i chiodi, la corona di spine, la colonna della flagellazione, la lancia, la spugna e soprattutto la croce, anche se essa può apparire prima di tutto come un segno trionfale, il segno del Figlio dell'uomo del Vangelo di Matteo. Queste arma Christi o signa compaiono in effetti quasi sistematicamente in prossimità del Giudice, su un trono o nelle mani di uno o di numerosi angeli, per richiamare con insistenza la natu ra umana del Cristo su cui si fonda la legittimità della sua funzione giudicatrice.

Numerosissimi giudizi universali mostrano, ai lati del Giudice, il collegio degli apostoli in cui è stato integrato san Paolo. La loro presenza e il loro ruolo non sono evocati né nei due testi maggiori (Mt 24-25;App 20) né in san Giovanni, ma in un altro brano del vangelo di Matteo: «In verità vi dico: nel giorno del rinnovamento del mondo quando il figlio dell'uomo sarà seduto sul trono di gloria, voi che mi avete seguito, anche voi sarete seduti per giudicare le dodici tribù d'Israele» (Mt 19,28). Nell'iconografia, la presenza degli apostoli ai lati del Cristo provocherà spesso una dilatazione della composizione nella sua parte superiore. Ma quando mancherà lo spazio, in particolare sui portali gotici, si farà in fretta a farli scomparire o a relegarli in uno spazio secondario. Quanto alla presenza di san Paolo si può facilmente spiegarla con la dignità di apostolo che gli è stata accordata. La legittimità della sua integrazione nel cuore del collegio apostolico, allo stesso livello si san Pietro, è stata del resto rapidamente affermata dalla posizione obliqua dell'immagine, e in particolare nella rappresentazione dei due avvenimenti principali della vita del Cristo - l'Ascensione e la Pentecoste - ai quali per altro l'apostolo dei Gentili non ha assistito. Era dunque perfettamente logico che egli conservasse questo stesso posto, alla destra o alla sinistra del Cristo, alla fine dei tempi.

Nei Giudizi Universali della seconda metà del Medio Evo, l'inferno ha subito una dilatazione progressiva ma sostanziale, tanto che occupa spesso uno spazio che sorpassa di molto quello che i differenti testi biblici gli avevano accordato. La Bibbia offriva soltanto qualche indicazione sulla natura dei castighi destinati ai peccatori: i dannati saranno gettati nelle «tenebre esterne dove vi saranno pianti e stridori di denti» (Mt 8,12;24,51; Lc 13,28), affondati in uno stagno di fuoco (Ap 20 ,15) o divorati da un verme imperituro e dal «fuoco che non si spegnerà» (Is 66,24). Questi riferimenti sommari non corrispondevano d'altra parte alle numerose domande che si ponevano i cristiani sulla geografia dell'inferno, i diversi supplizi che vi erano praticati e il loro rapporto con le colpe commesse. Numerose visione dell'aldilà sono venute a colmare queste lacune, a cominciare da quelle sviluppate dalle Apocalissi apocrife, come quelle di Pietro (II secolo), di Paolo (III secolo) o della Vergine (IX secolo). Si apprende particolarmente che l'inferno è suddiviso in un gran numero di luoghi distinti e che qui i supplizi sono adattati alla natura del peccato. I boia sono naturalmente i diavoli stessi, ma anche i serpenti e i vermi mentre mordono la parte del corpo che è stata la sorgente o lo strumento del peccato.

Teoricamente, il paradiso terrestre è un luogo destinato a ricevere le anime separate dopo il giudizio immediato, ma nei testi come nell'iconografia, è stato spesso interpretato come la dimora definitiva degli eletti. Una certa ambivalenza esiste anche riguardo alla Gerusalemme nuova, interpretata sia come una raffigurazione della chiesa presente, sia come un'immagine della chiesa futura. Malgrado queste divergenze, la dimora definitiva degli eletti in genere ha ricevuto l'aspetto di un giardino, di una città circondata da un muro adorno di pietre preziose, o anche di un giardino racchiuso in un recinto di questo tipo, una formula che risulta dalla combinazione dei due testi. Le sorgenti bibliche sono state completate dalle numerose visioni paradisiache riportate dalle Apocalissi o da altri tipi di letteratura, come l'inno che Efrem il Siro ha dedicato al paradiso.

AVVENIRE


Pace a colui che ha scritto e a chi legge.

Pace a coloro che amano il Signore

in semplicità di cuore.


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