


Brasile, Cesare Battisti non sarà estradato
Parla Arrigo Cavallina, fondatore dei Proletari armati per il comunismo: «Io arruolai Cesare nella lotta armata. Ma vedo difficile un mea culpa»
Caro Battisti, fai autocritica
Dopo l’arresto e gli anni di prigione, si è convertito alla fede cristiana. Ora si rivolge al suo ex compagno
Di Angelo Picariello
Si porta dietro lo scrupolo di aver iniziato alla lotta armata Cesare Battisti, quando era semplicemente «un malavitosetto romano (di Latina) dall'intelligenza vivace». Arrigo Cavallina fu fondatore dei Pac, Proletari armati per il comunismo, una delle tante cellule armate venute fuori dall'Autonomia, proiettata alle azioni eversive nelle carceri. E fu proprio in carcere, a Udine, nel fatidico '77, che Cavallina agganciò Battisti. «Aveva - ricorda nella sua autobiografia - un senso dell'umorismo col quale mi trovavo spesso in sintonia, la voglia di uscire dalla sua condizione e cercare significati più profondi. Per sua disgrazia ha creduto di trovarli condividendo i miei orientamenti politici. Nei suoi confronti sento una speciale corresponsabilità». L'amicizia, e la complicità durerà qualche anno. Racconta ancora Cavallina: «Con la sua simpatia e l'aria di bulletto autoironico, lo sguardo che lasciava intuire un altro mondo non detto, si era ben inserito nel giro di conoscenze e anche di qualche avventura amorosa, Altrettanto bene si è inserito nei Pac e ne ha condiviso la storia». Correvano gli anni '70, ne è passata poi di acqua sotto i ponti. Per Cavallina sono stati anni di carcere, di conversione e di lento ritorno alla vita. Per Battisti è stato tutto un fuggire, fino a domenica scorsa, nel disperato tentativo di difendere la sua nuova vita dagli enormi conti aperti con la giustizia.
Che cosa ha pensato, alla notizia dell'arresto del suo ex discepolo Battisti?
«Affettivamente ora è lontano. Nei suoi scritti recenti so che ha mostrato scarsa simpatia per me».
Ora dovrà scontare la pena, come è giusto.
«Dispiace sempre quando la vita di una persona è spezzata dall'ergastolo. Ma non credo che oggi Battisti avrebbe voglia di rapportarsi con me».
Se così non fosse, che cosa vorrebbe potergli dire?
«Nulla, piuttosto mi metterei in ascolto. È il modo attraverso il quale una persona si sente presa in considerazione. Anche per me un cambiamento è iniziato così. Pian piano».
Ma un percorso non chiarito come quello di Battisti, non rischia di offrire delle sponde a chi oggi, caduti i muri e fallita la rivoluzione di ottobre, ancora progetta la lotta armata?
«Non direi. Questi fenomeni mi sembrano più di natura patologica che politica. D'altro canto Battisti con le sue scelte, le sue smargiassate, è passato comunque come traditore, non può essere in alcun modo un modello per la lotta armata».
Ma le vittime, pensi al figlio paralizzato del gioielliere rapinato Torregiani, chiedono giustizia...
«È un sentimento più che comprensibile, eppure la giustizia è dello Stato deve prescindere dalla maggiore o minore capacità della singola vittima di perdonare, sennò si tornerebbe a una concezione privatistica della stessa. Il punto è un altro: chi ha provocato un danno sociale deve avere la possibilità di rielaborarlo, facendo ricorso anche, nei limiti del possibile (una vita non si può risarcire) a un impegno riparatorio. Penso che sia giusto anche per le vittime stesse: chiedere sempre il male di chi ha commesso il male diventa un'altra prigione, è nel loro stesso interesse puntare a una pena che abbia una finalità più alta e arrivare al perdono».
Si augura anche per Battisti un percorso del genere?
«Sì, ma al momento la vedo difficile. Chi ha vissuto fuori, da latitante, inseguito dalla giustizia e da una condanna enorme, finisce per cadere in un istinto di autodifesa, una tendenza a negare l'evidenza attraverso un'autoproclamazione d'innocenza per evitare la catastrofe familiare. Anche per questo, credo, dalla Francia non sono emerse storie di profonda revisione».
Ma colpisce che Battisti non abbia mai chiesto scusa per le vittime.«C'è sempre il terribile rischio di essere strumentali e falsi. Io non ho materialmente ucciso, ma ho piena responsabilità nella morte del maresciallo Antonio Santoro: ebbene, trovo che il silenzio, il percorso maturato dentro di sè, forse è la forma più rispettosa. Se parlasse oggi Battisti sareb be troppo tardi per i fatti accaduti e troppo presto, all'indomani della cattura. Gli auguro che sappia guardare dentro di sè, alla sua responsabilità. Col tempo, passo dopo passo».
Che cosa pensa di chi dice che gli ex terroristi dovrebbero evitare di fare interviste, o scrivere?
«La domanda giusta è: a che cosa serve? Io, parlo per me: faccio volontariato a Verona con la mia associazione, la Fraternità. Sono trenta anni che vado nelle parrocchie e nelle scuole a parlare di perdono, di pena e di carcere. Se ancora mi chiamano è segno che a qualcosa serve. Se ho qualche competenza, qualche capacità o talento perché non dovrei adoperarli? Perché mi permetto di parlare? Ma allora perché mi permetto di vivere, potrei aggiungere».
Che cos'è la fede per lei?
«La fede è tenere una porta sempre aperta. Sapere che ci sono tante cose che io non so, ma sono possibili. La fede è speranza. Ma più di tutto è riconoscenza. Non riesco a pensare alla mia vita se non con questo senso di riconoscenza: per gli amici, per la mia sposa, per la bellezza del mondo».
Qualche maestro buono gliel'avrà trasmessa. Chi sono invece i cattivi maestri?
«Il cattivo maestro sono innanzitutto io. Ero maggiorenne, le letture le ho scelte io, non c'è Toni Negri che tenga. E poi penso alla cattiva influenza che ho esercitato su persone, come Cesare Battisti»
Pace a colui che ha scritto e a chi legge.
Pace a coloro che amano il Signore
in semplicità di cuore.
Centro Meditazione cristiana S. Maria della Vittoria Via XX Settembre,17 Roma Per informazioni contattare Enrico Pallocca Cell 3337422760 |
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