Gli stadi terribile banlieue d'Italia
Alberto Caprotti
Un'altra tragedia, altro sgomento. E troppa retorica sul "calcio malato" assediato dai teppisti da stadio, incapace di guarire dal cancro della violenza, e che ora chiude per lutto. «A tempo indeterminato», è stato deciso, come si fa per quelle serrate disperate e disperanti, in attesa di provvedimenti che oggi nessuno può assicurare essere efficaci.
Quel che resta il giorno dopo è amarezza, voglia di dire basta una volta per tutte con uno sport che non è più solo sport da tempo. Ma anche rabbia. Perché l'idea di arrendersi agli assassini nausea ancora di più. Si muovono le istituzioni, chiunque ha la sua ricetta, si invoca la linea dura. Parole. Cui seguiranno i fatti, certo. Ma è un copione già visto, purtroppo, a riprova che serve altro, che il sacrificio del poliziotto ucciso l'altra notte a Catania a margine di una partita di pallone, merita di essere onorato ribaltando gli schemi. Facendosi delle domande - finalmente serie - prima ancora che tentare di dare delle risposte. Interrogandosi magari sul fatto che 9 della ventina di arrestati per i disordini di Catania siano minorenni. Bambini cresciuti all'ombra del tifo becero? Forse, ma non può essere solo questo.
La verità è che gli stadi sono diventati la terribile banlieue italiana, schermo di altri problemi, alibi e rifugio di una malavita organizzata o di cani sciolti radunati dalla logica del gruppo. Occorre uscire dall'equivoco, capire che il calcio che arma idealmente i violenti con i suoi eccessi inaccettabili, è solo il contenitore di un inquinamento esterno più vasto. Di una delinquenza a 360 gradi che qui si sfoga non potendolo fare altrove. Che recluta giovani esagitati per "vendicare" vecchi conti aperti con la polizia, vittima commovente del proprio dovere.
In qualsiasi democrazia benestante, nella quale la repressione è mai tanto forte da annullare il dissenso, esistono individui non disposti ad accettare le regole civili della convivenza. Possono essere disadattati, vittime di frust razioni, ma anche giovani senza problemi economici, finti estremisti politicizzati che non sanno nemmeno cosa sia la destra e la sinistra, menti vuote che esprimono soltanto aggressività figlia della noia. Ebbene, questa minoranza, in preoccupante espansione, ha bisogno di un palcoscenico, possibilmente incendiario, per potere piazzare la sua miccia: il calcio è l'ideale. Per anni ha concesso tutto, per anni ha vissuto in una bolla d'aria propria, si è barricato entro regole diverse, dove l'impunità ha regnato in nome di quello "spettacolo" che con qualunque mezzo ha preteso di offrire, resistendo a scandali e sconcezze e dimostrando di non avere gli anticorpi per guarire, per voltare pagina veramente.
Perché in realtà, nel nostro Paese, succedono cose come queste: tifosi ultra appoggiati dalle società che hanno paura di contestazioni o qualcosa di peggio, società che si disinteressano della sicurezza «perché a quella ci deve pensare lo Stato» e ogni anno intanto aumentano il prezzo del biglietto, sindaci compiacenti che hanno paura di perdere voti e concedono l'agibilità a impianti dove non si potrebbe giocare neppure a tamburello. Sono esempi, naturalmente, perché il nostro «è il campionato più bello del mondo».
Il malato che non sa curarsi ora ha bisogno di un bisturi esterno che lo stani dal suo rifugio. Che affronti il calcio davvero come un problema di ordine pubblico urgente. Perché l'eutanasia del pallone non è un rimedio, ma una sconfitta per tutti.
Domenica 04 febbraio 2007
Pace a colui che ha scritto e a chi legge.
Pace a coloro che amano il Signore
in semplicità di cuore.
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